Monday, February 18, 2008

Immigrazione a Napoli: ascoltiamo chi si impegna per i diritti.

il sito www.immigrazionesud.it promosso dalla Regione Campania ha pubblicato un'intervista a Patrizia Tuccillo delle ACLI di Napoli. La riproduciamo integralmente:

Cominciamo con una presentazione dell’ACLI-Colf?

L’ACLI è un’associazione di promozione sociale che da sempre ha avuto tra i suoi obiettivi la tutela dei lavoratori. Nel corso degli anni l’ACLI ha esteso il suo raggio d’azione per cui la tutela si è rivolta sempre di più ai diritti di tutti i cittadini. L’attività di patronato, il CAF e la lega consumatori attraverso i loro servizi offrono da tempo una risposta ai bisogni. A queste attività si è aggiunta poi, negli ultimi anni, l’attività di sportello per gli immigrati. La nostra attività a favore degli immigrati si è sviluppata a partire dal 2002, durante la sanatoria della "Bossi-Fini", con l’aiuto offerto a datori di lavoro ed immigrati per l’emersione dalla condizione di lavoro irregolare. L’ACLI Colf è un’associazione che è nata insieme alle ACLI per la tutela delle collaboratrici familiari, in un periodo in cui non esisteva nemmeno il contratto collettivo nazionale. L’associazione si è battuta affinché in Italia esistessero delle leggi che regolamentassero il rapporto di lavoro domestico. L’ACLI Colf ha innanzitutto una funzione associativa, le nostre socie sono innanzitutto delle lavoratrici italiane e straniere, l’associazione cerca di rappresentarle affinché possano esser tutelate a livello nazionale. Realizziamo dei percorsi formativi e delle attività ricreative rivolti alle socie. I servizi che vengono erogati rientrano nella consulenza sul lavoro quindi l’assistenza per il rapporto di lavoro dall’assunzione alla cessazione e sono integrati con le attività del patronato.

Quanti sono gli sportelli dell’ACLI-Colf a Napoli?

L’associazione ha diverse sedi tra città e provincia, sono circa una sessantina in tutto. Le strutture che però hanno attivato il servizio ACLI Colf e sportello immigrati sono solo tre, tutte ubicate a Napoli. Abbiamo due sedi nella zona di piazza Garibaldi ed una al Vomero.

Il settore delle attività di cura, nel corso degli ultimi decenni, ha visto occupare questo segmento del mercato del lavoro principalmente da lavoratrici immigrate. Dal vostro punto di vista come è cambiata l’attività della vostra associazione?

L’attività di collaborazione familiare si è evoluta. A lavorare in questo settore prima erano soprattutto donne italiane che emigravano dall’entroterra, oppure da altre regioni del meridione, per andare nelle grandi città a svolgere questo tipo di lavoro. In passato la tutela era rivolta principalmente a questo tipo di lavoratrici. Il settore oggi è cambiato. E’ cambiato il mercato del lavoro e ad entrare in questo settore adesso sono soprattutto le donne straniere. E’ un settore fatto di precarietà, di irregolarità e di malretribuzione, soprattutto in alcune realtà come la nostra. A scontare questa condizione prima erano le donne delle regioni più povere d’Italia ed adesso sono le donne immigrate provenienti dai paesi più poveri. Per quanto riguarda le nostre attività rivolte specificatamente agli stranieri, da noi si rivolgono prevalentemente collaboratrici familiari, al nostro sportello immigrati c’è però anche una parte di utenza che è composta da lavoratori stranieri dipendenti, oppure lavoratori autonomi - parliamo sopratutto dell’ambulantato che è un’attività tipica nella zona di piazza Garibaldi - ma anche di piccole attività commerciali legate al commercio al dettaglio. Dipende ovviamente dalla zona dove si trova lo sportello, al Vomero ad esempio abbiamo una utenza anche di lavoratori e lavoratrici dipendenti di attività commerciali gestite da italiani.

Da dove provengono principalmente le lavoratrici ed i lavoratori che si rivolgono ai vostri sportelli?

In prevalenza vengono dall’est Europa, principalmente dall’Ucraina ma anche dalla Russia. Abbiamo anche una grossa utenza di persone provenienti da Bulgaria e Romania che hanno bisogno di altri tipi di servizi essendo neocomunitari, perché comunque devono iscriversi all’anagrafe comunale ed avere un contratto di lavoro. Devono produrre una documentazione per poter essere regolarmente presenti sul territorio. I lavoratori autonomi che si rivolgono a noi sono principalmente proveniente dall’Africa subsahariana e nordafricani, ma anche bengalesi e pakistani, siamo riusciti da qualche tempo anche ad intercettare una parte dell’utenza cinese.

Veniamo al protocollo con Poste italiane per i rinnovi dei permessi di soggiorno. Qual è la valutazione che fate di questa convenzione a poco più di un anno dall’entrata in vigore?

Dall’avvio del protocollo con Poste italiane, siamo passati da una fase in cui ci occupavamo della compilazione manuale del kit ad una nella quale, attraverso il portale delle poste, inseriamo i dati e consegnamo il kit completo agli immigrati. Sicuramente l’aspetto positivo è che utilizzando il portale c’è una maggiore possibilità di controllare l’esattezza dei dati che inseriamo. Un altro aspetto positivo sta nel fatto che si può seguire l’iter burocratico fino ad un certo punto, ovvero dall’invio alla prima convocazione in questura, nel senso che allo stato attuale è possibile sapere se la pratica è in istruttoria oppure se deve essere integrata, per cui siamo in grado di dire agli immigrati se manca qualcosa nella documentazione. Siamo in grado inoltre di sapere quando ci sarà la prima convocazione in questura. In questo modo possiamo monitorare la procedura.

Nella esperienza che avete avuto le comunicazione del portale sono sempre attendibili?

Capita spesso che, quando deve essere integrata una pratica, il portale dia una informazione inesatta in merito alla documentazione mancante, per cui le informazioni non sono sempre attendibili, se però dicono che manca qualcosa significa deve essere reintegrata la documentazione mancante. Abbiamo così la possibilità di informare e preparare prima la persona, di modo che quando va in questura possono integrare la pratica. Il problema è il passaggio successivo, stiamo notando che sono abbastanza veloci nella prima convocazione, nel migliore dei casi sono passate solo tre settimane tra l’invio e la convocazione, a seguito della quale però può passare anche qualche mese prima di ricevere il vero e proprio permesso di soggiorno, in alcuni casi anche diversi mesi .

Come è andata invece con la procedura attuata nell’ambito del decreto flussi? Avete avuto problemi nell’invio delle domande?

Per quanto riguarda il decreto flussi abbiamo avuto un forte aumento dell’utenza e ci siamo trovati con un carico di lavoro maggiore rispetto al solito. Abbiamo inviato più di 500 domande da tutti e tre gli sportelli dell’ACLI-Colf. Abbiamo fatto anche da raccordo con le utenze che venivano segnalate dalle varie strutture presenti nella provincia. C’è stato l’aspetto positivo che la procedura era informatizzata per cui era possibile caricare i dati prima della data del 15 dicembre, c’è stato quindi un grande lavoro nel periodo precedente la data di invio delle domande durante il quale abbiamo informato l’utenza su quelle che erano le condizioni contrattuali, su quelli che erano i requisiti da possedere per poter superare il vaglio della domanda, etc. Il problema c’è stato però al momento dell’invio perché il sistema non ha retto, per cui il 15 dicembre data per l’inizio dell’invio delle domande il sistema è andato in tilt per cui ci sono stati grandissimi rallentamenti e ritardi. Riteniamo che l’ordine di ricezione delle domande sia stato falsato da questi ritardi e questo non lo riteniamo giusto nei confronti delle persone che si erano rivolte a noi in tempo utile. Abbiamo mosso per questo motivo una azione del patronato ed abbiamo cercato di fare sentire la nostra disapprovazione su questa procedura che, essendosi inceppata, non ha consentito a tutti di accedere ed avere la stessa opportunità degli altri. Abbiamo garantito a chi si era rivolto a noi una professionalità ed una competenza che poi al momento dell’invio, a causa di questo ritardo è stata vanificata.

Quali sono state le nazionalità più richieste dai datori di lavoro?

La stragrande maggioranza delle domande che richiedevano l’assunzione di lavoratrici e lavoratori domestici o badanti. Principalmente dai paesi dell’Est.

Sono state richieste più domestiche o più badanti?

Questo è un altro nodo critico perché spesso ci siamo trovati di fronte a situazioni in cui il datore di lavoro non aveva il reddito sufficiente per assumere una badante e quindi faceva la richiesta di una lavoratrice per collaborazione familiare, perché lo stipendio di una collaboratrice domestica è inferiore ed è giusto che sia così perché hanno responsabilità diverse, per cui è giusto che ci sia questa differenza di ordine salariale. Però non bisogna far finta di non vedere che i datori di lavoro che richiedono l’assistenza da parte di una collaboratrice domestica sono molto spesso persone anziane, sole, che non hanno una pensione tale da garantire uno stipendio adeguato alla badante. Per cui spesso succede che si dichiara collaboratrice domestica una persona che in realtà svolge l’attività di badante. Un’altra cosa che si fa finta di non vedere e la situazione del lavoro irregolare in Italia, per cui il decreto flussi è diventato una specie di sanatoria malcelata e poco efficace, perché 170.000 quote sono irrilevanti rispetto alle 700.000 richieste presentate e sono sicura che più del 90% delle persone "chiamate" si trovavano già qui.

Potresti farci invece un identikit dei datori di lavoro che si sono rivolti a voi per assumere una collaboratrice domestica?

Sono perone anziane, anche ultraottantenni o novantenni, che anche nel caso in cui sono autonome sono comunque persone che hanno bisogno di qualcuno che gli stia accanto. Molte volte si tratta di persone sole o che comunque hanno una famiglia che è lontana oppure impegnata per l’intera giornata, per cui diventa necessaria la presenza di un’altra persona che si prenda non soltanto cura della casa, ma che accompagni anche l’anziano nel suo percorso di vita, nel senso di avere una compagnia, una persona con cui scambiare una parola, avere una persona che sovrintenda la loro vita quotidiana. Sono due povertà che si incontrano, due solitudini.

Nella vostra attività vi capita anche di accogliere il disagio delle lavoratrici domestiche? Potresti descriverlo?

E’ molto pesante per una lavoratrice domestica il lavoro di cura, perché spesso si instaura un rapporto esclusivo e totalizzante tra datore di lavoro e lavoratrice. E’ qualcosa che dopo un certo periodo stanca ed è difficile da sostenere psicologicamente. C’è un grande turn-over in questo tipo di rapporti di lavoro proprio perché sono situazioni che diventano talmente pesanti e insostenibili per cui ad un certo punto decidono di andarsene. Nella maggior parte dei casi sono persone che sono costrette a fare questo tipo di lavoro, hanno spesso costruito durante la propria vita delle alte professionalità, hanno studiato per fare altri lavori, ma si sono trovate in una situazione socioeconomica nel proprio paese per cui l’emigrazione era l’unica risorsa a loro disposizione. Venire in paesi come il nostro per molte donne ha significato che il primo inserimento lavorativo fosse il lavoro domestico, per cui non c’è dietro una preparazione ed una competenza professionale rispetto a questo lavoro e molte volte non sono preparate a sopportare queste situazioni, queste condizioni di vita, dove c’è questo rapporto così stretto e così esclusivo. Nella maggior parte dei casi sono solo due, una cella con queste due persone, l’anziano e la badante. Spesso poi si creano anche delle forme di soggezione psicologica perché dal lavoro dipende il contratto, dal contratto dipende il permesso di soggiorno, dal permesso di soggiorno dipende la presenza regolare in Italia, l’accesso ai servizi, l’assistenza sanitaria; per cui è un circolo vizioso che non s’interrompe mai. Poi arriva il momento della crisi dove la persona non ce la fa più e crolla perché non riesce più a stare in quella situazione. E’ per questo che si lascia il lavoro per cui si crea spesso un continuo turn-over. Seguiamo a volte persone anziane che cambiano due o tre volte all’anno le collaboratrici familiari, proprio perché sono situazioni pesanti. A questo poi si aggiunge la solitudine, la lontananza dai propri affetti, la frustrazione di non poter portare i figli in Italia, il non avere tempo libero.

Come pensi possa essere affrontato meglio il bisogno di cura degli anziani, garantendo allo stesso tempo alle lavoratrici immigrate un ruolo e migliori condizioni di vita e di lavoro?

Una soluzione potrebbe essere quella di un welfare integrato tra privato e pubblico. Una organizzazione dei servizi sociali che si rivolga di più agli anziani e che preveda quindi attività non solo di assistenza ma anche di altro tipo - comunque di reinserimento all’interno della società dando agli anziani un ruolo attivo, sapendo che le loro competenze possono ancora essere messe a disposizione della società - e quindi si integri con un welfare privato che può esser quello offerto dall’assistenza di collaboratori familiari, di modo che il lavoratore non si trovi in una situazione totalizzante dove il lavoro è svolto 24 ore su 24 senza margini di libertà e possibilità di cercare anche altri tipi di lavoro. Un anziano quindi che non sia sempre chiuso in casa ma che sia coinvolto in altre attività, che venga curato anche in altri modi, anche con un’assistenza domiciliare offerta magari dal comune che si affianchi al collaboratore familiare privata. Intendiamo in maniera integrata il concetto di welfare, in questo modo c’è la possibilità per tutti i soggetti coinvolti di maggiore libertà e di maggiori possibilità di realizzazione in pieno della propria vita. Noi vorremmo che gli stranieri si integrassero realmente nella nostra società, perché le collaboratrici familiari sono chiuse nell’ambito domestico, non partecipano alla nostra società. Vorremmo un welfare che garantisse una società più giusta.

Quali sono secondo te i bisogni principali delle lavoratrici domestiche? E quali servizi sarebbe necessario attivare?

Noi crediamo che bisogna puntare molto sull’informazione sulle leggi, sui diritti ed sui doveri degli stranieri nel nostro paese, perché soltanto attraverso la conoscenza delle leggi italiane saranno in grado di esercitare i loro diritti e soltanto esercitando i diritti possono realmente integrarsi nella società. Siamo integrati nella società nel momento in cui possiamo vivere, possiamo curarci decentemente, possiamo ricongiungerci con la nostra famiglia, possiamo studiare e possiamo avere il diritto ad una pensione. E’ soltanto con l’esercizio di questi diritti che ci si integra nella società. Noi crediamo che sia giusto potenziare il momento informativo circa le leggi che regolamentano la loro presenza in Italia e circa le leggi che regolano la vita dei cittadini. E’ necessario inoltre che si aumenti l’offerta formativa e professionale, che si vada ad esempio verso la formazione professionale delle collaboratrici familiari, dar loro degli elementi di assistenza psicologica, di pronto intervento, di conoscenza delle norme igienico sanitarie, degli aspetti tecnici della professione. E’ necessario anche migliorare la conoscenza della lingua italiana, è attraverso comunicazione che la relazione viene in qualche modo favorita.

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