Thursday, July 16, 2009

UN PARTITO FIGLIO DI NESSUNO

dal quotidiano "Europa" del 14.07.2009

Hanno scambiato il Partito democratico per qualcos’altro.
Per un punching-ball. Un tram. La Casa del Grande fratello. Hyde Park Corner. Un albergo a ore.
Una pedana del wrestling. Un posto dove ognuno possa fare e dire quello che crede, andare e venire a piacimento, farsi forte e bello finché sono accesi i riflettori. Un posto dove conta solo il posto che danno a me, il ruolo che danno a me, la visibilità che danno a me.
Se non è abbastanza, sparo a zero su tutto e su tutti.
Vediamo all’opera gli attori di questa recita poco divertente. Alcuni lo sono in senso tecnico, altri perché interpretano in senso teatrale il proprio mestiere, magistrato o politico, altri ancora perché la politica li ha trasformati da persone autorevoli in dichiaratori senza rete. Ma non sono loro i soli colpevoli.
C’è chi li ha messi in condizione di nuocere. Un gruppo dirigente che sembra non voler bene al proprio partito, tanto che a ogni occasione ne disconosce paternità e maternità. C’è chi non riconosce il Pd perché non gliel’hanno fatto fare come volevano loro (Veltroni e Franceschini), chi perché non hanno ascoltato i suoi consigli (Bersani), chi perché è finito in minoranza (Rutelli), chi perché non gli hanno telefonato (D’Alema), chi perché gli ha portato più male che bene (Prodi).
Chi perché gli anziani fanno ostacolo e chi perché i giovani sono supponenti. Chi perché i comunisti contano ancora troppo e chi perché contano troppo i democristiani.
Chi perché i cattolici non si sentono a casa propria e chi perché i cattolici in casa non li vuole, a meno che non se ne stiano zitti.
Ognuno di coloro che lo guidano sembra avere un ottimo motivo per parlar male del Pd. Europa era un giornale non ortodosso, ma ormai ci pare di fare un mestiere inutile: noi spariamo sul quartier generale con le cerbottane, quelli dentro al quartier generale si fanno esplodere col tritolo.
Nessuno si scandalizzi dunque se chiunque passa da fuori si sente autorizzato a spernacchiare e irridere. Napolitano dice una cosa di puro buon senso (tipo: la lotta politica sia svolta civilmente) e invece di sostenerlo con entusiasmo, anche per rafforzarne il ruolo in ogni evenienza futura, i candidati segretari si fanno travolgere da Di Pietro e fanno calcoli su quanti voti gli può costare un simile grave cedimento a Berlusconi. Ai tempi – visto che c’è chi lo rimpiange e perfino chi lo vorrebbe riesumare – il Pci li bastonava, e non solo metaforicamente, gli estremisti che pretendevano di dettargli la linea e di spiegargli il mestiere.
Dicono: però Di Pietro sta all’8 per cento, quasi tutti voti nostri.
Vero, un’alleanza così fruttuosa è motivo di eterna riconoscenza per Veltroni che ce l’ha regalata. Però il Pd era nato per fare un pensierino al restante 92 per cento, e tuttora questo sembrerebbe un lavoro più divertente che duellare sulle agenzie col senatore Pardi.
Fermare Beppe Grillo col comma 3 dello statuto che preoccupa l’ottimo Adinolfi fa ridere più di Grillo medesimo, che non fa più ridere da secoli. Si tratta di un eversore autoritario nemico giurato della democrazia, quindi anche del Pd, come peraltro lui stesso sottolinea.
Se al senatore Marino va di confrontarsi con Grillo, traslochi nella coalizione di Grillo, che è quella del vaffanculo al capo dello stato. Per conto nostro Grillo sta al Pd come ci sta Gasparri (e se ci sono elettori che si risentono, come si diceva prima meglio perderli che trovarli).
Già, Ignazio Marino. Aveva ottime ragioni e qualche chance. Un anno e mezzo di Pd veltroniano ha dato a lui grande spazio, lui ricambia prima da martire, poi da salvatore della patria, infine con la simpatica equiparazione fra un violentatore e un tesserato napoletano.
Anche in sala operatoria era una prima donna, ma dubitiamo che si sarebbe mai permesso certi atteggiamenti verso colleghi ed equipe medica. Ecco un altro della società civile che pensa che la politica meriti solo schiaffi: non si capisce allora perché l’abbia voluta fare.
Purtroppo per mettere le pezze ci sono i generosi che fanno peggio. Una come Paola Concia, per esempio, che per una pura operazione politicista di copertura del proprio candidato prende spunto dal violentatore (sempre lui) per accusare l’intero partito di maschilismo e soprusi sulle donne: scusi, c’è un nesso nella sua testa fra Bianchini e me? Se ci fosse, mi iscriverei per un minuto al grillismo per risponderle a tono.
Se non ci fosse, amici come prima, però prego per lei cinque minuti di vergogna.
Concia è una giovane emergente, ma non è che gli anziani emersi da altre ere geologiche siano meglio. Bassolino è carico di glorie passate e di fallimenti recenti, eppure neanche lui rinuncia a passeggiare sul proprio partito. Lui insieme a Loiero, altro esempio di buongoverno progressista meridionale, hanno deciso di dare una speranza al Sud. La speranza però non verrà da un Pd rafforzato dalla loro esperienza, o dalla loro sostituzione, bensì dalla nascita di un altro partito, trasversale e nuovo in tutto tranne che nel fatto che dovrebbero dirigerlo loro, decidendo le candidature regionali insieme a gente di destra indispettita da Berlusconi: astuta manovra insidiosa per il Pdl, semplicemente devastante per il Pd. Ma frega a qualcuno, oltre che a Michele Emiliano sceriffo buono? A nessuno, anche perché Bassolino vorrà pure superare il Pd, ma non prima di aver investito qualche migliaio di voti congressuali sul suo prossimo sfortunato segretario.
Rispetto per il Pd, chiede Europa a chi il Pd l’ha fondato e lo dirige in ogni posizione, contando sul fatto che ci hanno speso energie anche più di noi, e che solo chi pretende e merita rispetto può riceverlo.
Amore per il Pd, per quanto amore si possa mettere nella politica. Sentire questo partito come una cosa propria, figlio legittimo nel nome del quale sacrificare un po’ di narcisismo, di rancori secolari, di ambizioni personali.
Amarlo e rispettarlo così come è, per farlo meglio naturalmente, ma senza furia se non è esattamente come l’avremmo voluto.
Povero Partito democratico: non è un accidente che ci è capitato in testa, una disdetta della quale liberarsi al più presto. È ancora qui dentro, da qualche parte, l’unica alternativa a una destra che rimanga eternamente al potere.

STEFANO MENICHINI

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